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La P.A. deve operare in modo chiaro e lineare, così da fornire al concorrente regole di condotta certe e sicure.
Imparzialità e par condicio costituiscono principi cardine nello svolgimento di un pubblico concorso.
Tuttavia, troppe volte la P.A., con eccesso di potere e di arbitrio, viola i basilari canoni di correttezza dettando nuove regole interpretative e criteri di valutazione, oltre i termini utili alla modificazione consentiti dalla legge.
Al riguardo, lapidaria è la statuizione del Consiglio di Stato sez. III, n. 963/2017: “il bando di concorso pubblico, in quanto “lex specialis”, vincola non solo i candidati, ma la stessa p.a., alla quale non residua alcun margine di discrezionalità in ordine all’applicazione delle sue norme, le quali non possono essere modificate o integrate successivamente alla sua emissione, a pena d’illegittimità del procedimento per violazione del principio di “par condicio” tra i candidati“.
Anche la giurisprudenza comunitaria si esprime univocamente: in linea con i principi di trasparenza e parità di trattamento perseguiti dal diritto interno e comunitario, è preclusa – anche in ossequio al principio di non discriminazione – l’adozione di qualsiasi limitazione di accesso alla procedura di gara che si presenti irragionevole e sproporzionato allo scopo da raggiungere (vd. ex multis Corte di Giustizia UE, ord. 4 ottobre 2012, C – 502/11).
Lo strapotere dell’Ente Pubblico non può che riversarsi sui poveri concorrenti che dopo anni di studio e sacrifici ambiscono, legittimamente, ad una posizione lavorativa stabile e gratificante.
Quando la P.A. disattende i principi cui il proprio operato dovrebbe esser orientato, agire per ottenere l’annullamento dei provvedimenti sperequativi adottati, costituisce l’unico rimedio atto a garantire giustizia ai concorrenti ingiustificatamente lesi.