Con la recente sentenza n. 367 del 03.03.2022 la Corte di Appello di Bari (Pres. Dott Labellarte, Cons relatore Dott. Sansone) ha offerto – ancora una volta – una importante statuizione dei principi di diritto in tema di diritto bancario e, più specificatamente, in materia di onere della prova e di prescrizione del diritto alla ripetizione delle somme indebitamente incassate dagli istituti di credito.
Oltre ad essere un nuovo grande successo, in termini economici per la società assistita dallo Studio Legale Mancarella – seppur dopo un’estenuante vicenda processuale di ben 12 anni con un ingiustificato rigetto in primo grado – deve necessariamente riconoscersi a detta pronuncia un’importante rilevanza in punto di diritto.
Con motivazione attenta ed articolata, la Corte territoriale barese ha riconosciuto il diritto della società ex correntista statuendo la responsabilità e l’onere dell’Istituto di credito convenuto in giudizio a dover provare “il limite certo dell’affidamento concesso alla correntista”. In caso contrario, dinanzi alla constatazione dell’esistenza di un rapporto di affidamento pluriennale, l’assenza di un formale contratto di affidamento non può essere rilevato ed eccepito, a proprio vantaggio, dall’istituto bancario e conseguentemente “il limite di affidamento si identifica con la più elevata esposizione debitoria raggiunta dal correntista, con conseguente carattere ripristinatorio di tutte le rimesse effettuate sul conto corrente”.
“Il difetto di forma scritta del contratto di affidamento avrebbe potuto essere eccepito solo dal cliente, nel cui interesse è prescritta, come si desume dalla su riportata massima (cfr. Cassazione civile sez. I – 29/11/2018, n. 30885) e come più volte affermato dalla giurisprudenza di merito, che anche per i rapporti di conto corrente successivi all’entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria numero 154/92 che ha introdotto a pena di nullità il requisito della forma scritta dei contratti bancari, ha avuto modo di confermare che l’art. 127, comma 2, t.u.b., coerentemente con l’impianto della disciplina sulla trasparenza bancaria, tutta imperniata sulla tutela del cliente, prevede che le nullità previste dal Titolo IV del t.u.b. operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice, sicché la banca non può giovarsi di tali nullità di protezione”
Di seguito la sentenza.